Arti Marziali Giapponesi: Origini, Evoluzione e Storia

Le origini delle Arti Marziali Giapponesi

Dal Bujutsu al Budo

Prendiamo la storia marziale, guerriera, del Giappone:

Le pratiche atte solo ed unicamente per uccidere e non essere uccisi (Bujutsu), nel corso degli anni e in particolare dopo la seconda guerra mondiale, si sono radicalmente modificate e si è passati a convogliarle verso principi di educazione e morale, il Budo: “the spirit of self perfection rather than self protection is supreme in the classical budo. These disciplines are not intented to serve as system of self defense – lo spirito di auto-perfezionamento piuttosto che di auto-protezione fonda il budo classico. Queste discipline non intendono fungere da sistema di difesa personale”. (trad mia. D.F. Dreager “Classical Budo”).

Tipologie di arti marziali Giapponesi

Prima macro differenza:

Koryu – Le scuole fondate prima della restaurazione Meiji (1862). in esse la pratica verteva principalmente sull’uso delle diverse armi e solo secondariamente sul combattimento a mani nude. Facile comprendere il perché: Erano i guerrieri i fruitori di questo sapere, quelli che scendevano in battaglia, e solo marginalmente i “civili”.

Gendai Budo – Le scuole nate dopo il 1862.

Possiamo ritenere che

  • l’apertura forzata del Giappone all’occidente (1853) ad opera degli USA
  • il progressivo crescere d’importanza delle armi da fuoco sul campo di battaglia, dopo la loro introduzione nel XVI secolo
  • la necessità di sfuggire al divieto di praticare Arti Marziali Tradizionali imposto dalle Forze di Occupazione USA al termine della seconda guerra mondiale

contribuirono in vario modo al nascere delle Arti oggi principalmente note fuori dal Giappone.

Attenzione!! La linea di demarcazione tra Koryu e Gendai Budo è però estremamente flessibile perché, volenti o no, le stesse Koryu hanno soggiaciuto a continue evoluzioni, frutto tanto di scissioni al loro interno, quanto di contaminazioni con Arti più moderne.

In Italia, poco, pochissimo hanno attecchito le Koryu. Invece, possiamo dire che marketing spinto di alcune Arti moderne unitamente alla loro sportivizzazione, hanno prodotto una loro capillare diffusione.

Anche qui, nel formularne un succinto elenco, occorre sapere che ogni Arte, anche moderna, è un crogiuolo di diverse Scuole e contenuti tecnici. Pretendere una definizione di ognuna è impresa pretestuosa e che si presta a critiche e distinguo di ogni genere. Dunque, questo a seguire, è solo un banale schema di orientamento: “La mappa non è il territorio“.

Aikido. Fondato dal M.° Morihei Ueshiba (1883 – 1970) a partire dalle sue conoscenze dell’Aiki Jutsu. Esso è conosciuto ai più per gli spostamenti circolari, le prese con leve articolari e le spettacolari proiezioni. In Italia si è affacciato a cavallo degli anni ’50 /’60 ad opera di Haru Onoda e poi Danilo Chierchini e Motokage Kawamukai. Occorre aspettare la metà degli anni ’60 per avere in Italia un Maestro di rilievo: Hiroschi Tada, 6° dan. Ogni scuola di Aikido, ne interpreta tecniche e persino “cultura e spirito dell’Arte” a seconda della personalità del Maestro caposcuola e di come questi ha ricevuto e poi “masticato” l’insegnamento del fondatore.

Judo. Fondato dal M.° Jigoro Kano (1860 – 1938) a partire dalle sue conoscenze del Ju Jiutsu. Esso è conosciuto ai più per il combattimento di proiezioni al suolo e lotta a terra. Furono, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, i contatti tra i marinai italiani e quelli giapponesi a favorire la diffusione di rudimentali tecniche di jujitsu. Ma occorre attendere il secondo ventennio del 1900 perché, ad opera del marinaio “capo cannoniere” Carlo Oletti, il Judo arrivi in Italia. Il Judo è l’unica Arte ad avere mantenuto al suo interno un solo stile codificato (a parte una corrente minoritaria, creata dal M.° Kawaishi e di ben poco rilievo nel panorama europeo) denominato Kodokan, sostanzialmente rimasto immutato nei decenni. Con la sua sportivizzazione, ha progressivamente abbandonato la pratica basata su cedevolezza e flessibilità (in giapponese ju o yawara) per abbracciare a piene mani il potenziamento fisico e l’uso della forza muscolare come strumento atto a prevalere sull’avversario.

Ju Jitsu (o Ju Jiutsu). Evoluzione delle arti dell’epoca Kamakura (1185 – 1333) mi è impossibile offrine una definizione attendibile. Infatti, sotto il nome Ju Jitsu convivono stili ancora in qualche modo legati alle vecchie Koryu, stili creati negli anni successivi e di cui sarebbe arduo rintracciare le origini storiche giapponesi, stili creati da moderni Maestri europei o yankee. A seconda delle diverse influenze, alcuni stili privilegiano il colpire rispetto alle proiezioni al suolo, altri viceversa; possiamo scrivere che, generalmente e genericamente, in ogni stile di Ju Jitsu non manca nulla, seppur in proporzioni diverse, dei movimenti e delle tecniche utili in un combattimento a mani nude, e in alcuni c’ è più o meno spazio anche alla pratica con alcune armi, principalmente il coltello e il bastone nelle sue tre lunghezze: tambo (corto), jo (medio), bo (lungo). Da alcuni anni, ha preso piede il Brazilian Ju Jitsu, oggi particolarmente noto grazie ai combattimenti MMA (Mixed Martial Arts), nato in quella terra dagli insegnamenti del M.° Mitsuo Maeda e sviluppatosi ponendo l’accento sulla lotta a terra.

Karate. Dalla commistione tra il te (mano), ovvero i diversi stili di combattimento praticati sull’isola di Okinawa, e le Arti Marziali cinesi lì introdotte da mercanti ed avventurieri provenienti dal “paese di mezzo” (così, anticamente i cinesi chiamavano la loro terra), prende l’avvio quello che fu poi chiamato Karate. Possiamo azzardare che furono diversi Maestri, più o meno noti, a costruire negli anni il Karate, e tra questi Anko Itosu (1831 – 1915), Kanryo Higaonna (1853 – 1915) Kanbun Uechi (1877 – 1948). In Italia, per decenni il più famoso stile di Karate fu lo Shotokan, stile creato dal M.° Gichin Funakoshi (1868 – 1957) e poi modificato dal figlio, anche se, a onor del vero, il pioniere nel nostro paese fu Vladimiro Malatesti (1908 – 1967) che prativa uno stile denominato Shotokai. In realtà, lo Shotokai altro non era che una interpretazione più rigida, meno “agonistica” dello stesso Karate Shotokan. Altri stili di Karate che successivamente si presentarono Italia furono il  Wado Ryu e il Goju Ryu. Attualmente, nel nostro paese, sono presenti diverse decine di stili, generalmente accomunati dal prediligere le percosse quando non escludere in toto o quasi proiezioni al suolo e lotta a terra; altra caratteristica del Karate è l’allenamento all’ispessimento delle nocche e le pratiche di rottura (tameshiwari) di tavole di legno o altro materiale. Una menzione particolare va al Karate Kyokushinkai, fondato dal M.° Masutatsu Ōyama (1923 – 1994), se non il primo, certo il più noto ad introdurre il contatto pieno nei colpi, anch’esso presente in Italia seppur con una presenza non diffusa uniformemente.

Arti Marziali molto meno diffuse sono Kyudo, il tiro con l’arco asimmetrico; Kendo, la scherma libera con shinai (stecche di bambù), Iaido, l’arte dell’estrarre il katana (la spada dei samurai).

Menzione particolare per le diverse, ancorché ampiamente minoritarie qui in Italia, Scuole di Kenpo. Il Kenpo ha origini non ben definite, probabilmente in Cina, per altri nell’isola di Okinawa; sicuramente non ha un “padre” universalmente riconosciuto mentre ha avuto discepoli che lo hanno diffuso, ciascuno secondo una loro interpretazione, in tutto il mondo. Forse il Kenpo è l’esempio eclatante della forza del meticciato, della capacità generativa ed evolutiva data dall’incontro di diverse culture, diverse esperienze di combattimento e lotta. Sicuramente il Kenpo vanta una capacità combattente spesso di alto livello che comprende ogni tipo di arma data dal corpo umano, con colpi, leve articolari, proiezioni al suolo, lotta a terra e l’uso di diverse armi “bianche” o “improprie” a seconda dello stile, il tutto generalmente mai disgiunto da una particolare attenzione alla salute psicofisica e a stati di coscienza espansa.

In Giappone, il Sumo è stato per secoli la lotta “principe” nella terra del “sol levante”, profondamente legata alla religione shintoista, i cui combattenti era considerati semidei. Lottatori enormi, specie di casta a sé, ora anche il Sumo sta cedendo il passo agli sport provenienti dagli USA. In Italia non mi risulta ci siano scuole di Sumo, tuttalpiù una modesta copertura televisiva degli eventi in Giappone.

Le Arti Marziali Servono in un Vero Scontro?

Questo significa che praticare quelle Arti Marziali non servirebbe in uno scontro fisico?

Dipende.

Dipende se chi le propone lo fa mantenendo l’assetto di arma letale e capace, nel contempo, di fare di questo assetto “letale” e performante un terreno di crescita personale, una metafora e metonimia dei meno fisicamente cruenti ma sovente difficili e dolorosi scontri del nostro quotidiano, ovvero nelle relazioni amorose, familiari, sul luogo di lavoro: Saper stare nei conflitti, qualsiasi essi siano. Probabilmente questo è l’autentico passaggio dal Bujutsu al Budo, in cui poco o nulla si perde della capacità combattente, solo la si adatta arricchendola perché sia utile negli usuali conflitti relazionali di una collettività democratica del terzo millennio.

Per andare ad una delle arti giapponesi più note, il Karate, ecco, a tal proposito, cosa scriveva il Maestro Henry Plee, l’uomo a cui si deve la diffusione del Karate in Europa: “Il faut cependant savoir qu’il existe aussi un ‘karate de l’ombre’, preserve depuis des siecles dans certaines familles, et qui a peu a voir  avec ‘notre’ karate actuel – Dovete però sapere che esiste anche un “karate ombra”, conservato da secoli in alcune famiglie, e che ha poco a che fare con il “nostro” karate attuale”. (trad mia. H. Plee “Croniques martiales”).

Dunque, se pratichi “Arti Marziali ombra” conservi l’efficacia distruttiva delle origini, della Tradizione, necessaria in uno scontro vita o morte, e pure una strategia di comportamento per gestire i conflitti di ogni giorno; il tutto nell’ottica di costruirti individuo adulto, equilibrato, autodiretto, vitale ed erotico, individuo Budo.

“Scopo della pratica del Budo è di ‘denudare se stessi, di affrontare se stessi’

tramite le modalità di origine marziale” (Murata Takuya, Maestro di Kendo e Iaido).

Le pratiche corporee moderne, occidentali, possono aiutare la buona pratica delle Arti Marziali?

Certamente.

Anzi, sono necessarie perché sono passati secoli e secoli dalla nascita delle Arti Marziali e il mondo tutto non è più lo stesso. Noi “bianchi” del terzo millennio conduciamo una vita, che è cultura ed abitudini quotidiane, del tutto diversa dai samurai giapponesi o dai boxer cinesi, nell’alimentazione, nel modo di camminare, di lavorare, di vestirci, di gesticolare, di trascorrere il tempo libero.

Detto altrimenti: “Nessun modello, a mio parere, ha validità descrittiva generale e metacontestuale. Ogni modello è culturalmente determinato: ha senso all’interno delle condizioni (antropologiche, culturali, sociologiche, ecc.) in cui è nato, in riferimento ai bisogni ed alle aspettative della comunità scientifica che lo ha formulato” (V. Bellia “Dove danzavano gli sciamani”)

L’immane progresso nei campi del sapere ha portato nuove conoscenze sull’essere umano, spesso arricchendo il sapere “Tradizionale”, a volte spiegando più compiutamente quanto già allora solo intuito. Per questo, pratiche e saperi del metodo Feldenkrais, di Body Mind Centering, di Danzaterapia, di Laban Movement Analysis, contribuiscono a quanto praticato di Arti Marziali qui allo Spirito Ribelle.

Senza un incontro ed un amalgama reciproci tra saperi “Tradizionali” orientali e saperi moderni occidentali, la pratica marziale, di ogni Arte Marziale, risulterebbe spuntata, monca, anacronistica, non calzerebbe perfettamente al praticante italiano del terzo millennio.

“Le tecniche di Budo non sono permanenti e immutabili; se le altre cose cambiano, naturalmente il Budo cambia conseguentemente” (Shoji Nishio Maestro di Aikido e Iaido)

Come insegnare e imparare le Arti Marziali?

Proprio in virtù del fatto che l’Italia, che Milano, non è il Giappone né la Cina dei secoli scorsi; che i praticanti odierni di Arti Marziali non sono né professionisti del combattimento né lavoratori nei campi abituati a maneggiare strumenti di lavoro che sono potenzialmente delle armi; che il progresso ha riguardato anche la didattica nell’insegnamento di qualsivoglia disciplina o materia, noi Spirito Ribelle proponiamo una didattica maieutica e libertaria:

Una formazione continua che, per essere veramente tale, si avvale di maieutica, l’arte di porre domande. E’ la domanda e non la riposta ad originare la conoscenza. La domanda maieutica è dialogica, ovvero richiede ad entrambi di essere soggetti attivi, come tale anche ci tempra nella capacità di relazionarci conflittualmente con l’altro. Essa è lo strumento fondamentale per ogni apprendimento, apprendimento che sia basato sulle risorse del praticante e non sull’adesione omofona a contenuti, a modelli, già predisposti. In una società fondata sempre più sull’accudimento, sono in pochi a riconoscere l’ostacolo come una risorsa: ogni domanda, che “ostacola” il nomale flusso delle convinzioni, è una opposizione che, suscitando emozioni, “sparigliando” il gioco, nutre l’apprendimento profondo, consapevole. La domanda maieutica, nel nostro praticare marziale, sono sia i koan zen fisicoemotivi che io propongo, quanto le domande / resistenze, anche quelle più stralunate, che pongono i praticanti” (T. Santambrogio in https://tiziano-cinquepassineldestino.blogspot.com/2012/10/kung-fu-no-grazie.html)

Più importante del mostrarti cosa fare, dello spiegarti come fare, del darti un modello da imitare, è invece accompagnarti a fare secondo le tue caratteristiche e qualità: Sei tu l’attore principale!!

Dunque, questo per noi Spirito Ribelle è, sommariamente, il senso di praticare Arti Marziali oggi, nel terzo millennio. Un cammino, una terapia, per individui curiosi, appassionati, in cerca di migliorarsi e di stare bene, stare meglio, al mondo.

“Se pensi che una cosa sia impossibile, lo diventerà.

Il pessimismo spunta le armi di cui hai bisogno per vincere.” (Bruce Lee)

Quale arte marziale scegliere?

Nessuna, davvero, non scegliere un’arte, scegli tu chi sei e cosa e come vuoi diventare.

Perché ti scrivo questo?

Perché qualsiasi elenco io o qualcun altro ti faccia non solo non sarebbe esauriente, ma sarebbe pure farlocco.

Karate o Kung Fu? Sarebbe come dire “Oggi cucino la pasta”, ma sai quanti condimenti ci sono e, che so, all’interno del condimento “ragù” quanti tipi di ragù diversi ci sono?: napoletano, veneto, bolognese, da cortile ecc. E poi, ogni chef, cuoco o nonna (!!) ci apporta le modifiche personali che preferisce.

Sai quanti Karate ci sono? Decine e decine, alcuni privi di contatto, altri a contatto pieno, alcuni praticano solo colpi, altri anche proiezioni al suolo, altri ancora hanno nel loro bagaglio movimenti del pugilato, altri ancora dell’Aikido. Per non scrivere dei Karate creati qui in Italia da Maestri italiani che hanno dato loro un nome giapponese.

Questo vale per tutte le Arti Marziali asiatiche.

Ecco, il Judo è l’unico (o quasi, perché qualcuno pratica ancora il metodo Judo Kawaishi) con un solo stile: Judo Kodokan: Prese al Judogi (la divisa del praticante) e poi proiezioni al suolo e lotta a terra. Ma, attenzione, anche qui le differenze ci sono, Ci sono tra chi, la maggioranza, ha scelto la strada del Judo sportivo, che è molta preparazione fisica e tecniche limitate alle più efficaci in gara, e chi, invece, propone il Judo come pratica educativa, in stretta sintonia con i dettami del suo fondatore, Jigoro Kano, con un baglio di tecniche molto più vario e non disdegnando praticare anche gli atemi, le percosse.

Nessuna arte giapponese, cinese, vietnamita, filippina, neppure arti create più recentemente come il Jeet Kune do, voluto dal mitico Bruce Lee, sfuggono alla regola della cucina!!

Allora vai a vedere e, soprattutto, a provare senza farti fuorviare dal nome dell’Arte, dalle etichette che qualcuno le ha appiccicato. Ancor più importante è conoscere chi guida il corso, come lo guida, e gli eventuali futuri compagni, perché saranno loro quelli con cui scambierai le mani in faccia, che ti metteranno in leva i polsi, che ti sbatteranno per terra, quelli con cui farai “comunella” fuori dalla pedana.

Quali sono i vantaggi nel praticare le arti marziali?

Tanti, davvero tanti, soprattutto tanti a seconda non solo di dove tu andrai a praticare ma di come tu ti porrai dentro la pratica.

Certamente troverai luoghi dove più si punta sulla forza fisica, sulla resistenza alla fatica, sul “No pain no gain”. Altri che, invece, privilegiano flessibilità, cedevolezza, elasticità. Due modi diversi di ottenere dei risultati. Starà a te scegliere quel che senti più tuo.

Alcuni indurranno alti stimoli di stress per migliorare la tua resistenza caratteriale e la tua autostima. Altri si affideranno al “No pain more gain” perché sia l’eustress (lo stress “buono”) a formarti un carattere coraggioso ed intraprendente.

Alcuni spingeranno verso la competizione tra i praticanti per far emergere lo spirito di vittoria, di supremazia. Altri punteranno sullo spirito di gruppo, sul condividere risorse e scarsità perché il migliorare di uno sia anche il migliorare di tutti.

Metodi diversi e finalità a volte somigliantisi altre decisamente no.

Per questo, la domanda vera non è quale Arte Marziale scegliere, ma TU chi e come vuoi essere.

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